DIAMO A CESARE QUEL CHE È DI CESARE
- giovannigpelazzo
- 25 mar 2021
- Tempo di lettura: 3 min
“Reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo”
L’arcinoto aforisma, dal latino “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, è stato pronunciato da Gesù e riportato nei Vangeli sinottici; da qualche giorno, in casa Fiorentina, riecheggia come una malinconica (ma doverosa) melodia.
Chiarendo sin da subito di voler schivare il complesso significato storico-politico della frase che dà il titolo a questo articolo – e precisando di non voler incappare in alcun tipo di blasfemia visto il suo eccellente titolare – l’affermazione “Diamo a Cesare quel che è di Cesare” mi è parsa un doveroso appello nei confronti di una persona il cui nome, in questi giorni, ha popolato giornali e social media: Cesare Prandelli.
Il tecnico 63enne ha rassegnato le dimissioni da allenatore della Fiorentina tramite una lunga lettera, apparsa sul sito ufficiale della Viola, riportata integralmente di seguito:
“Firenze, 23 marzo 2021. È la seconda volta che lascio la Fiorentina. La prima per volere di altri, oggi per una mia decisione. Nella vita di ciascuno, oltre che alle cose belle, si accumulano scorie, veleni che talvolta ti presentano il conto tutto assieme.
In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono. Ho intrapreso questa nuova esperienza con gioia e amore, trascinato anche dall’entusiasmo della nuova proprietà. Ed è probabilmente il troppo amore per la città, per il ricordo dei bei momenti di sport che ci ho vissuto che sono stato cieco davanti ai primi segnali che qualcosa non andava, qualcosa non era esattamente al suo posto dentro di me.
La mia decisione è dettata dalla responsabilità enorme che prima di tutto ho per i calciatori e per la società, ma non ultimo per il rispetto che devo ai tifosi della Fiorentina.
Chi va in campo a questo livello, ha senza dubbio un talento specifico, chi ha talento è sensibile e mai vorrei che il mio disagio fosse percepito e condizionasse le prestazioni della squadra.
In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose. Sono venuto qui per dare il 100%, ma appena ho avuto la sensazione che questo non fosse più possibile, per il bene di tutti ho deciso questo mio passo indietro.
Ringrazio Rocco Commisso e tutta la sua meravigliosa famiglia, Joe Barone e Daniele Pradè, sempre vicini a me e alla squadra, ma soprattutto ringrazio Firenze che so che sarà capace di capire.
Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono.
Cesare Prandelli”
Mi sono concesso la libertà di evidenziare in grassetto alcuni passaggi – dal mio punto di vista – estremamente significativi per provare a spiegare le ragioni di questo apparente fulmine a ciel sereno. Apparente, sì, perché dando un rapido sguardo alla carriera dell'allenatore di Orzinuovi balza all’occhio come questa non sia affatto la prima volta che Prandelli lascia volontariamente la sua panchina.
Era infatti già successo a Lecce (a seguito di 14 sconfitte in 18 partite), a Roma (dove non ha nemmeno diretto una gara a causa di una grave malattia che colpì la moglie Manuela), persino da CT dell’Italia (in seguito alla brusca eliminazione ai gironi nel Mondiale 2014).
Il tecnico lombardo è spesso stato il primo a farsi da parte quando le cose non andavano per il verso giusto, sfoggiando umilmente una grande onestà intellettuale e provando una responsabilità enorme estendibile a tutte le squadre allenate in carriera. A ciò va poi aggiunta una sconfinata sensibilità, grazie alla quale Prandelli ha sempre posto il calcio in secondo piano rispetto a valori che, anche a causa di un mondo che va più veloce di quanto pensiamo, talvolta non si fa fatica a dimenticare: l’amore e la famiglia.
Infatti, prima Cesare scelse di stare vicino alla moglie malata, tragicamente scomparsa nel 2007, quindi, il 23 marzo di quest'anno, decide di fermarsi per ritrovarsi veramente, affermando come la sua carriera di allenatore possa finire qui.
Nel caso in cui andasse davvero così, il mondo del pallone perderebbe un altro grande rappresentante del lato “più romantico e meno aziendalista”: categoria, questa, che si sta restringendo sempre più inesorabilmente.
Diamo dunque a Cesare quel che è di Cesare: ammirazione e profondo rispetto nei confronti di un maestro di vita prima ancora che di calcio.
Comments