LE PAGELLE DELL’AUSTRALIAN OPEN 2021
- giovannigpelazzo
- 23 feb 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Il primo slam dell’anno (seppur in ritardo) va in archivio, senza grandi sorprese tra i vincitori ma con spunti interessanti per il proseguimento della stagione. Seguono, quindi, le valutazioni di protagonisti, sorprese, delusioni e non solo, con uno sguardo sempre vigile rivolto alla spedizione italiana.
I VINCITORI
Ad eccezione della partita di quarto turno contro la scoppiettante Garbiñe Muguruza – in cui ha anche annullato due match point consecutivi – Naomi Osaka ha giocato per tutto il torneo con il pilota automatico inserito, perdendo un solo set (proprio quello contro l’iberica di origini venezuelane). La regina del cemento ha vinto il suo quarto slam su altrettante finali disputate, tutte sull’hard, e sta abituando tutti ad uno strapotere fisico, tecnico e mentale quasi imbarazzante. L’arduo tentativo della nipponica è di “regolarizzare” l’imprevedibile circuito femminile, come per larghissimo tempo ha fatto la più grande tennista di tutti i tempi, quella Serena Williams umilmente accompagnata alla porta d’uscita, in semifinale, dalla stessa giapponese.
Voto 10. All’agognata continuità.
Tra gli uomini, invece, nessun successo poteva essere più regolare di quello di Novak Djokovic, veramente in difficoltà solo dinanzi ad un infortunio che l’ha accompagnato per quasi tutto il torneo e che si è certamente rivelato il suo avversario più temibile, comunque sconfitto. Non è stato un cammino dominante come in altre occasioni, ma è stata la solita, camaleontica strada di chi, per un motivo o per un altro, sembra non voler abdicare mai. Grazie alla vittoria del diciottesimo slam – meno due dal record all-time della coppia Federer-Nadal – l’otto marzo il serbo sarà ancora il primo giocatore del ranking per almeno sette giorni, in altre parole per la settimana numero 311 della sua pazzesca carriera: in quell’occasione, il primato delle 310 settimane di Federer sarà frantumato.
Voto 10 (e lode). All’aggiornamento del libro di storia.
I FINALISTI
Chi vicino al suo nome, in tabellone, reca il numero 22, non può essere considerata una sconosciuta, ma è almeno il nome della più grande sorpresa che lo “sregolato” circuito femminile ha offerto a questo giro. Il sogno di Jennifer Brady – fresca numero 13 del mondo – è andato in brandelli di fronte all’insormontabile montagna giapponese, ma da queste due settimane si porta a casa l’abilità nel farsi strada in una metà di tabellone oggettivamente molto più semplice, ma non per questo da sottovalutare.
Voto 9. Alla scaltrezza.
Sembrava fosse finalmente la sua ora, come sembrava l’ora di Thiem l’anno scorso, come continua a sembrare l’ora della Next Generation di cui Daniil Medvedev è senz’altro una delle stelle polari, ma che ancora non brilla abbastanza. Il percorso verso la finale è stato quasi immacolato – eccezion fatta per i due set contro Krajinovic che, sostanzialmente, ha perso da solo – ma, arrivato al dunque, qualcosa si è inceppato. Nonostante avesse tutto per mettere in difficoltà Djokovic, nonostante avesse una striscia aperta di venti vittorie consecutive in tour, nonostante sia stato complessivamente molto meno tempo in campo rispetto al serbo, il nuovo numero tre del mondo è uscito dalla Rod Laver Arena con le ossa rotte.
Voto 8. Al “ritenta, sarai (forse) più fortunato”.
LE SORPRESE
Nessun set perso fino ai quarti di finale pur avendo affrontato una campionessa slam (Jelena Ostapenko) e due temibili – seppur in calo – teste di serie (Karolina Pliskova e Elise Mertens). Se a ciò si aggiunge lo scalpo, ottenuto in rimonta, dell’attuale numero uno del mondo Ashley Barty, Karolina Muchova è un’altra grande sorpresa scaturita dalla parte alta del tabellone. Arrivata alle porte del suo best ranking di numero 21 – distante cinque miseri punticini – chissà che la prima semifinale della carriera in un major non possa svoltarle la stagione.
Voto 8. Alle piccole-medie imprese.
Arrivato a Melbourne vincendo tre turni di qualificazioni – giocate a Dubai circa un mese prima dell’inizio del torneo “vero” – era pressoché impensabile che il numero 114 del mondo (a inizio torneo) Aslan Karatsev riuscisse a lambire terre mai sfiorate prima da nessun altro debuttante nella storia del primo slam dell’anno: i confini delle semifinali. Incurante di tutto ciò, il russo meno noto in top 50 – issatosi, a seguito dell’impresa australiana, fino alla quarantaduesima posizione – lasciava venti (!) game ai suoi avversari dei primi tre turni (tra cui spicca la testa di serie numero otto Diego Schwartzman), rimontava due set a Félix Auger-Aliassime e uno a Grigor Dimitrov, uscendo a testa altissima, in semifinale, contro il re di questi campi, Novak Djokovic. What else?
Voto 9. Alla favola.
LE DELUSIONI
Ad ogni bella sorpresa corrisponde spesso una cocente delusione, ma, volendo sforzarsi ben poco, se ne possono individuare anche due: Ashley Barty e Karolina Pliskova. La prima da esaminare è, inevitabilmente, la padrona di casa nonché numero uno del mondo, che da tempo sembra aver perso lo smalto dei giorni migliori. Un’altra che vede i giorni migliori ormai col binocolo è Karolina Pliskova, uscita di scena addirittura al terzo turno. Curioso come entrambe le giocatrici siano state eliminate dalla Muchova, poco afferente al caso, invece, la loro condizione – mentale prima ancora che fisica – precaria.
Voto 4. Allo spreco di talento.
Anche in campo maschile è facile identificare due nomi altisonanti da cui ci si aspettava, lecitamente, molto di più, ossia Rafael Nadal e Dominic Thiem. Fino al doppio vantaggio contro Stefanos Tsitsipas nei quarti di finale, lo spagnolo poteva vantare una striscia di ben 35 set vinti consecutivamente negli slam (inauguratasi al primo turno dell’ultimo Roland Garros). Tuttavia, ciò non è bastato contro l’ellenico che, rimontando Nadal, diventa il terzo giocatore della storia a sconfiggerlo quando in vantaggio per due set a zero – Federer e Fognini gli altri due – confermando lo scarso feeling del maiorchino con il veloce di Melbourne (un solo titolo, qui, nel lontano 2009). Un’altra occasione mancata è quella di Dominic Thiem il quale, dopo essere riuscito a venire a capo dell’estroso padrone di casa Nick Kyrgios, si è arreso agli ottavi contro Grigor Dimitrov. La prematura uscita di scena – l’anno scorso l’austriaco si spinse fino alla finale – condanna l’allievo di Massù anche alla perdita della posizione di numero tre del mondo, in favore di Daniil Medvedev (che, se avesse vinto il torneo, avrebbe scavalcato anche Nadal).
Voto 4. Al tempismo.
GLI ITALIANI
Una doverosa parentesi tinta d’azzurro non può che iniziare da Sara Errani, tornata al terzo turno in uno slam dopo oltre cinque anni e dopo aver superato, a Dubai, tre ostici turni di qualificazione. Al grande orgoglio per questo traguardo potrebbe affiancarsi un altrettanto considerevole rammarico per non aver chiuso il match quando ne ha avuto l’opportunità – ha servito per il match avanti 5-3 nel terzo set, perdendolo poi 7-5 – ma si spera che questa possa essere un’importante iniezione di fiducia. Intanto, la romagnola ha già recuperato ventotto posizioni nel ranking (è ora numero 106) e scorge la top 100 ad un passo, distante meno di ottanta punti.
Voto 7. Alla redenzione.
Anche Fabio Fognini ha disputato un ottimo torneo, schiantando l’ostico Herbert al primo turno, annullando un match point nel derby italiano con Caruso nel round successivo e asfaltando la testa di serie numero 21 Alex De Minaur, con il nativo si Sydney che certamente partiva favorito su questi campi. Per larghi tratti ha tenuto persino testa a Nadal negli ottavi di finale, salvo poi cedere alla distanza ma conscio, per una volta, di aver fatto tutto quello che c’era da fare.
Voto 7. Alla matura consapevolezza.
I GIOVANI
Né il torneo maschile né tantomeno quello femminile hanno regalato particolari sussulti di giovani promesse. Iga Swiatek, classe 2001 ma già arcinota al grande pubblico per la vittoria all’ultimo Roland Garros, si è arrestata agli ottavi contro la voglia di rivalsa di Simona Halep, vendicatasi della sconfitta inflittale dalla polacca proprio nello slam parigino. Il tempo è tutto dalla sua, poiché non ci sono – almeno per ora – giovani giocatrici in grado di impensierirla e, soprattutto, perché ha già dimostrato di poter dire la sua contro chiunque.
Voto 6,5. Al futuro non così remoto.
La sfida probabilmente più attesa tra tutti i match di primo turno del tabellone maschile era quella tra Jannik Sinner e Denis Shapovalov, nati rispettivamente nel 2001 e nel 1999. L’italiano ha tenuto testa al già più esperto canadese – numero 11 del mondo ad un passo dal best ranking, appena una posizione più avanti – ma al quinto set è sopraggiunta la stanchezza e, non senza patemi, è stato “Shapo” a trionfare all’una di notte inoltrata. Al terzo turno, però, è uscito con le ossa rotte dal derby contro il connazionale classe 2000 Félix Auger-Aliassime, che ha visto solo di sfuggita i quarti di finale (era avanti di due set contro Karatsev), venendo estromesso sul più bello.
Voto 6. All’incoraggiamento.
GLI INTRAMONTABILI
Per concludere – dopo il doveroso spazio lasciato ai giovani – non si poteva tralasciare una grande highlander del circuito WTA, vale a dire Su-wei Hsieh. I grandi appassionati non proveranno certo un senso di smarrimento dinanzi al nome della minuta 35enne taiwanese che, pur non essendo mai riuscita a sfondare del tutto in singolare (il best ranking di numero ventitré risale al lontano febbraio 2013), ha spesso dominato la scena in doppio, in cui vanta tre trionfi slam, uno alle WTA finals e svariate settimane da numero uno del mondo. In Australia ha regalato agli italiani un grande dispiacere estromettendo Sara Errani, riuscendo poi a spingersi fino ai quarti di finale: di fronte all’Osaka non c’è stata storia, ma poco importa.
Voto 7,5. Al vino buono nella botte piccola.
A proposito di highlander, nessuno in campo maschile può essere definito tale più di Feliciano Lopez. Grazie alla sua partecipazione, il mancino spagnolo è arrivato a settantacinque presenze consecutive (!) nel main draw di uno slam: non ne salta uno dal 2002. È vero, non si è poi spinto così avanti – sconfitto da Andrey Rublev al terzo turno – ma a 39 anni suonati ha rimontato un set alla wildcard di casa Li Tu e ben due al nostro Lorenzo Sonego. Non proprio affare da tutti.
Voto 6,5. All’esperienza.
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