L’ESAME PIÙ FACILE
- giovannigpelazzo
- 9 giu 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 21 gen 2021
Come possono Freddie Mercury, Antonello Venditti e Il Pagante, all’epoca del Coronavirus, essere legati da un filo rosso che percorre gli ultimi mesi (di scuola e di vita) di un qualunque maturando in Italia? Di certo, per trovare questa connessione serve un po’ di fantasia, ma visto che il tempo non manca, perché non provare a scoprirla?
Venerdì 21 febbraio è stato l’ultimo giorno dell’anno scolastico 2019/2020. Peccato che nessuno lo sapesse, o quantomeno, non allora. La situazione dovuta alla pandemia mondiale da Coronavirus iniziava a farsi via via più oscura e incerta, ma non nego di non essere stato (almeno inizialmente) troppo dispiaciuto alla notizia del prolungamento della chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, fino al 2 marzo prima, fino al 15 marzo in seguito. Nel frattempo, la didattica a distanza aveva già iniziato a prendere forma, più come tampone temporaneo che, come si sarebbe rivelata in seguito, di unica disperata soluzione per consegnare a tutti gli alunni un programma degno di questo nome.
Dal 16 marzo, tutto sarebbe dovuto tornare normale, salvo però dirottarsi subito verso un’anormalità ormai normalizzata. Dopo due giorni di incertezze, si optò per la chiusura di tutte le strutture scolastiche fino al 3 aprile, e non credevo a chi sentivo dire (solamente ormai tramite schermi di vario tipo) che le scuole non avrebbero più aperto, se non per l’anno scolastico venturo. Non credevo loro più per autoconvincermi che “Dai, non può finire così!” – quante volte questa frase ha percorso i miei pensieri – che per l’esistenza di dati scientifici più o meno verificati, dimenticandomi che sono sempre questi ad essere alla base di una qualsiasi decisione.
Alla base di una decisione non qualsiasi c’erano però numeri che dimostravano come gli istituti scolastici fossero tra quelli a maggior rischio contagio, visto il grande numero di persone che ogni giorno transitava in essi, fossero alunni, insegnanti, collaboratori o corrieri. Come logica conseguenza, visto il protrarsi della pandemia, la definitiva chiusura delle scuole era divenuta una scelta obbligata. Tutti gli alunni sarebbero stati promossi, la DAD si sarebbe svolta fino al termine dell’anno scolastico in corso e a settembre, all’alba del nuovo anno, quanti non avessero conseguito risultati sufficienti durante il periodo di lezione “a vis a vis” avrebbero frequentato corsi di recupero (in stile esami di riparazione), comunque non passibili di bocciatura.
E i maturandi?
In pochi si sono ricordati di noi. Il che è pienamente comprensibile, pensando che di certo non si potrà svolgere un esame normale e se si svolgerà diversamente, poco male.
Personalmente, non avrei potuto pensare a un finale più triste e insoddisfacente. Ricollegandomi all’interrogativo iniziale, chiederei, come Freddie Mercury, di “non fermarmi proprio adesso, proprio mentre mi stavo divertendo tanto” e mi stavo preparando al più grande passo della vita adolescenziale. L’esame era quella cosa non propriamente definita né definibile, un po’ avvolta in un alone di mistero che non si schiarisce fino a quando non si provano determinati sentimenti e sensazioni, quest’anno maledettamente diverse e ridotte all’osso.
Per carità, ci sarà un esame. Ma non sarà mai – per quanto le mie conoscenze si basino esclusivamente sul racconto di esperienze di altri – l’esame.
Sarà l’esame delle domande anziché delle risposte, dei “come sarebbe stato?” e non dei “non vedo l’ora!”, dei “chissà”. Chissà come sarebbero state le ultime settimane di scuola, guardando in faccia i professori per prepararsi al grande evento dell’orale (unica parte che è riuscita a salvarsi dal Covid-19). Chissà come sarebbe stata la cena con loro e la sensazione di parlare, per una volta, di altro, intorno ad un tavolo e al di fuori delle mura scolastiche. Chissà poi come sarebbe stato l’ultimo giorno di scuola, con quel mix di felicità e angoscia, e i tabelloni, che ogni tanto riservano qualche insperata sorpresa.
Non lo sapremo mai.
Chissà che cosa intendeva Antonello Venditti con la sua “notte prima degli esami”, dell’ansia per quelle prove scritte che in due giorni mettono in gioco i 2/3 dei punti dell’esame. Chissà pure che cosa avremmo provato ad abbracciare un compagno, appena finito l’orale, o anche ad essere quello abbracciato. Chissà quanta sarebbe stata l’emozione di essere assembrati, come parte di un unico grande corpo, davanti ai nuovi tabelloni, quelli che sanciscono, in modo freddo e dignitoso, la fine di un percorso.
Non lo sapremo mai.
Chissà quanto sarebbe stato bello poter capire davvero le parole del Pagante, tra “voli low cost” e una “isla” qualunque, comunque la migliore purché vissuta con i compagni di un’avventura che hanno segnato in maniera indelebile quelli che molti sostengono essere i migliori anni della nostra vita. Chissà che ne sarebbe stato del tanto agognato, discusso e sudato viaggio di maturità, affrontato con la mente finalmente libera da ogni preoccupazione.
Non lo sapremo mai.
E se è pur sempre vero che con il primo passo mosso in università tutti, noi per primi, ci saremo dimenticati di un numero attribuitoci a inizio estate, è altrettanto comprensibile quanto tutto ciò che ha contornato quel numero non sarebbe finito nel dimenticatoio, ma nella sezione “ricordi più belli”. E se è pur sempre vero che l’esame, quest’anno, sarà anche più facile, visti i 60 crediti in entrata e i 40 punti attribuiti al solo orale, vista l’assenza di prove scritte e la commissione totalmente interna, non so quanto darei, se potessi, per ripercorrere quel filo rosso, iniziando da Freddie Mercury, passando per Antonello Venditti e finendo con Il Pagante.
Quanto darei per non fermarmi proprio adesso che mi stavo divertendo, per vivere davvero una notte prima degli esami, per viaggiare finalmente tutti insieme, liberi da ogni pensiero, se non quello del totale divertimento.
Davvero non so quanto darei per chiudere il cerchio in un modo disperatamente normale.
Che oggi più normale non è.
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