NON È DA QUESTI PARTICOLARI CHE SI GIUDICA UNA STAGIONE
- giovannigpelazzo
- 10 ago 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 24 gen 2021
È il 16 giugno 2019 quando viene annunciato il nuovo allenatore della Juventus: è – un po’ a sorpresa dopo il vano sogno Pep Guardiola – Maurizio Sarri. La scelta societaria ha uno scopo ben preciso, cioè quello di rompere con il pur illustre e vincente passato per intraprendere una rotta diversa, più incerta e forse, anche per questo, più affascinante. Sarri è etichettato come un grande incompiuto (nonostante la conquista dell’Europa League alla guida del Chelsea pochi mesi prima) e, al suo arrivo, gli viene affidato un compito ancora più difficile rispetto a quello del suo predecessore Allegri: non solo vincere, ma anche convincere.
Dalla prima partita della stagione (vittoria sofferta per 0-1 a Parma con una formazione iniziale di forte stampo allegriano) all’ultima (altra vittoria, per 2-1 sul Lione, ma dal peso specifico ben diverso e comunque ininfluente ai fini della qualificazione ai quarti di Champions) Sarri ha tentato di dare un’impronta diversa alla squadra. Ha provato ad impostare una linea difensiva a quattro diversa da quella del precedente tecnico bianconero, più alta, con Cuadrado titolare inamovibile sulla corsia di destra e fulcro della maggior parte delle azioni juventine. Ha voluto un centrocampo differente, più tecnico, con due titolarissimi (almeno da giugno in poi) come Rabiot e Bentancur, basi del centrocampo del futuro. Ha deciso di dare continuità ad un giocatore anche eccessivamente criticato come Bernardeschi, vedendo in lui una forma di collante tra reparti per dare equilibrio ad una squadra altrimenti troppo sbilanciata in avanti. Ha creduto nella convivenza dei due giocatori principi della rosa, Dybala e Cristiano Ronaldo, autentici uomini copertina della stagione 2019/2020. Sarri è riuscito insomma, un po’ come ai tempi di Napoli, a trovare un undici titolare fisso, dettaglio non da poco se si pensa anche ai continui cambi degli anni passati.
Tuttavia, se tutto fosse stato perfetto quest’articolo non avrebbe senso di esistere. Infatti, in 52 uscite stagionali la Juventus ha incassato 54 gol, decisamente troppi per gli standard cui aveva e si era abituata. D’altro canto, tuttavia, si può anche provare a intravedere nella mole delle reti subite alcune cause, quali il già citato cambio nell’impostazione della fase difensiva e la partecipazione ad uno dei campionati con il maggior numero di reti messe a referto (sono ben cinque le formazioni con oltre 70 goal segnati).
Un altro fattore che non ha funzionato è stato il pressing verso l’avversario, con i giocatori che erano spesso e volentieri in ritardo e talvolta sono apparsi anche fuori condizione (emblematica la stagione Miralem Pjanic, che dal “Jorginho” che Sarri sperava potesse diventare si è rivelato un giocatore qualunque e spesso non indispensabile).
Limitandosi a questi due grandi problemi – comunque risolvibili ma non nel giro di un anno e con una pandemia globale in mezzo – ci si aggancia facilmente ad un terzo grande fattore che ha condizionato il rendimento della rosa, ossia la sua età media, di quasi 30 anni. Un necessario e repentino svecchiamento della rosa dovrà andare di pari passo con l’adattamento del calciomercato alle idee di Maurizio Sarri, che invece non si è verificata in questo primo anno.
Posto che il ritorno di un ottavo di Champions League non è proprio un particolare all’interno di una stagione, non è comunque da novanta minuti che si devono giudicare quasi 12 mesi. La vittoria della coppa dalle grandi orecchie è un obiettivo dichiarato da alcuni anni e continuerà ad esserlo in quelli a venire – a maggior ragione dopo l’innesto del miglior marcatore nella storia della competizione – ma mettere in luce una partita su 52 e da essa trarre le proprie conclusioni appare quanto meno affrettato. Per la prossima stagione, che si prospetta anch’essa molto lunga e laboriosa, serviranno forze fresche, oltre all’arma più importante e al contempo più difficile da impugnare: la pazienza.
Nonostante tutto, anche quest’anno la Juventus ha concluso con un titolo, il nono scudetto di fila. Ciò che fa riflettere è quanto sia facile appiccicare alla schiena della società l’etichetta di stagione fallimentare, la prima dal 2013/2014 con un unico trofeo in bacheca. Oltre a ciò, le due finali perse di Supercoppa Italiana e di Coppa Italia e, appunto, un magro ottavo di Champions League. Se ci si concentra esclusivamente su questi ultimi dati viene difficile dare un parere negativo ad un’annata di questo tipo; non, però, se ti chiami Juventus: in questo caso, la musica cambia.
La musica cambia e non è solo l’eco dell’urlo “The Champions”, che ancora riecheggia nella testa dei giocatori e soprattutto dei tifosi juventini, a poter definire la stagione fallimentare, quanto piuttosto il percorso intrapreso e l’impossibilità fisiologica di ottenere tutto nel breve periodo.
La normale stagione 2019/2020 sarebbe dovuta essere il classico anno di transizione con numerosi intoppi da sistemare nelle due successive, quelle per cui Sarri sarà ancora legato alla società bianconera. Fiducia, dunque, all’intero blocco Juventus, dirigenti, allenatore e alla maggior parte dei giocatori, con la consapevolezza che con qualche puntellamento, qualche giusta cessione e un po’ di pazienza, alla fine, si potrà davvero dare un giudizio complessivo al triennio sarriano.
Perché non è da novanta minuti che si può e si potrà mai giudicare una stagione.
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